Il potere logora chi non ce l'ha" a coniarlo fu il principe di Curlandia suocero di Talleyrand , e prozio del nonno della principessa Yasmin
Charles Maurice de Talleyrand-Périgord
« Il potere logora chi non ce l'ha. »
(Citazione del Talleyrand, che l'apprese dal duca Buren di Curlandia , il suocero.) Fu duca dell'isola di Dino, in virtu' del matrimonio con la principessa Dorotea Buren von Kourland che ebbe dai Borboni la ratifica della Fedecommesso del ducato dell'isola di Dino, patrimonio della dinastia Di Avril de Burey Anjou de Saint Genis ,veri proprietari dell'isola e discendenti di Federico II ed Isabella d'Inghilterra, da cui il ramo cadetto di Biron o Buren di Curlandia.
Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord
Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, detto Talleyrand (Parigi, 13 febbraio 1754 – Parigi, 17 maggio 1838), è stato un politico e diplomatico francese.
Talleyrand fu principe, vescovo, politico. Servì la monarchia di Luigi XVI, poi la Rivoluzione francese nelle sue varie componenti, l'impero di Napoleone Bonaparte e poi di nuovo la monarchia, questa volta quella di Luigi XVIII, fratello del primo monarca servito. È considerato il campione assoluto del camaleontismo[1]. Tuttavia fu persona di grande intelligenza politica e fu sempre un anticipatore dei suoi tempi, dimostrando di saper vedere nel futuro molto più lontano di quanto sapessero fare i suoi contemporanei. Fu, con Metternich, il "regista" del congresso di Vienna.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Origine e giovinezza
1.2 Carriera ecclesiastica
1.3 La Rivoluzione
1.4 Il periodo del Direttorio
1.5 Il periodo napoleonico
1.6 La fine dell'Impero
1.7 La Restaurazione monarchica ed il Congresso di Vienna
1.8 La monarchia di Luglio
2 Note
3 Bibliografia
4 Voci correlate
5 Altri progetti
6 Collegamenti esterni
Biografia [modifica]
Origine e giovinezza [modifica]
La famiglia Talleyrand vantava la discendenza da Adalbert, conte di Périgord e vassallo di Ugo Capeto nel 990. In ogni caso si trattava di una famiglia dell'alta nobiltà, come attestato dalle lettere patenti del 1613 e 1735. Suoi parenti occuparono cariche importanti durante il regno di Luigi XV. Charles Maurice era nipote di Alexandre Angélique de Talleyrand-Périgord (1736 - 1821), che fu dapprima arcivescovo di Reims, e, poi, cardinale arcivescovo di Parigi.
Charles Maurice era fin dall'infanzia zoppo ad un piede. Secondo alcuni biografi, era affetto da una malattia genetica, la sindrome di Marfan o aracnodattilìa, secondo altri sarebbe stato vittima della caduta da un alto mobile ove incautamente la donna cui era stato affidato a balia l'aveva lasciato. Il risultato comunque fu che per poter camminare dovette ricorrere ad una protesi metallica pesante ed ingombrante. A causa di quest'infermità non poté essere destinato alla carriera militare e venne quindi privato dai genitori del suo diritto di maggiorasco (che fu concesso in sua vece al fratello Archambaud) e destinato alla carriera ecclesiastica nella quale il figlio avrebbe trovato quella protezione dalle temperie della vita di allora che da solo, secondo loro, causa la sua infermità non era in grado di garantirsi.
Carriera ecclesiastica [modifica]
Nel 1769, all'età di quindici anni, Talleyrand entra nel seminario di Saint-Sulpice, malgrado nello stesso periodo frequenti ostentatamente un'attrice della Comédie française di nome Dorothée Dorinville.
Il 28 maggio 1774 Talleyrand riceve gli ordini minori e pochi mesi dopo, precisamente il 22 settembre 1774, ottiene il baccalaureato in teologia alla Sorbona, più per la propria nascita che per l'impegno profuso, visto che il suo referente per la tesi, M. Mannay, ha in realtà, personalmente redatto, almeno in parte, la tesi medesima. Il 1° aprile 1775 Talleyrand pronuncia i voti. L'11 giugno 1775 assiste alla consacrazione di Luigi XVI, di cui vescovo concelebrante è suo zio.
Nella primavera del 1778 incontra Voltaire per il quale nutrirà sempre una specie di venerazione. Il 18 dicembre 1779 viene ordinato sacerdote. La sera innanzi il suo amico e compagno di bagordi Étienne François de Choiseul, trovandolo prostrato in lacrime, insiste perché rinunci, ma lui dice che è ormai troppo tardi. All'ordinazione non è presente nessun membro della sua famiglia. I genitori assisteranno tuttavia alla sua prima messa. Poco dopo ottiene l'assegnazione dell'Abbazia di Saint-Remy a Reims, con annesse prebende. Naturalmente non prende dimora presso l'Abbazia che gli è stata assegnata ma si stabilisce a Parigi.
Nel 1780 è nominato agente generale per il clero di Francia grazie all'abilità con cui ha sostenuto nel corso della quinquennale Assemblea della Chiesa gallicana la difesa dei beni della Chiesa dalle mire del fisco di Luigi XVI. Tale carica, equivalente ad un dicastero delle Finanze in uno stato, gli permetterà di rendersi conto delle ricchezze della Chiesa francese e di diventare amico e consigliere dell'allora ministro delle finanze francese, Calonne, amicizia che si rivela però nefasta quando poco dopo Calonne deve dimettersi avendo presentato al re un piano economico (elaborato, si sa, con un forte contributo di Talleyrand) che questi non condivide: la disgrazia dell'amico si ripercuote anche su di lui, che viene per questo subito emarginato dai circoli della capitale francese.
Cerca quindi un'altra strada, la carriera ecclesiastica, cercando di accaparrarsi un vescovado, ma trova sulla sua strada l'intransigenza del vescovo di Autun, Marbeuf, inorridito dalla vita dissoluta e libertina che il Talleyrand conduceva e conduce. Egli frequenta regolarmente senza nasconderlo Adélaïde de Flahaut, donna molto bella ma anche amabile ed intelligente, moglie del conte di Flahaut, che gli darà nel 1785 un figlio, Charles de Flahaut, e che lui tradisce con una certa regolarità. È sempre a corto di denari per il gioco ed il gusto del lusso. Trasferitosi Marbeuf da Autun a Lione nel 1788, riesce ad ottenere ciò che vuole grazie all'intercessione del padre, morente, presso il re che non vuole negare l'ultima soddisfazione all'amico in fin di vita. Il sovrano, che conosce bene le vicende scabrose del figlio dell'amico, avrebbe dichiarato in proposito: «così si correggerà». Luigi XVI si pentirà presto di questo gesto di generosità. Viene quindi nominato vescovo di Autun.
Tre settimane dopo il neo-vescovo, il quale già negli anni precedenti frequentava ed animava i saloni liberali parigini, è eletto deputato per il clero agli Stati Generali (2 aprile 1789), grazie ad un'abile azione di propaganda da lui svolta nella diocesi. I suoi cahiers de doléance, da presentarsi a nome della provincia, sono terribilmente innovativi: vi si richiede quasi l'abolizione della monarchia, l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del fisco, l'inventario dei beni del regno e tante altre cose che saranno poi realizzate da parte della rivoluzione. Lascia così definitivamente la città di Autun.
Talleyrand
La Rivoluzione [modifica]
Il 14 luglio 1789, Talleyrand è nominato membro della commissione per la Costituzione dell'Assemblea Nazionale, nella quale avrà un ruolo molto importante. Mantiene comunque un profilo basso, evitando di esporsi troppo in attesa di schierarsi dalla parte del vincitore, continuando però a tenere contatti segreti con il re attraverso il fratello di quest'ultimo, conte di Artois, proponendogli, dopo la presa della Bastiglia, persino un intervento armato a sorpresa contro l'Assemblea ma il re non accetta il consiglio. Stringe amicizia ed inizia la collaborazione con Mirabeau, uomo corrotto e roboante ma convincente oratore che dà voce alle idee del nuovo vescovo di Autun. Talleyrand suggerisce, tramite l'amico Mirabeau, la confisca dei beni della Chiesa cui partecipa attivamente, arricchendosi parecchio, insieme all'amico, il che gli costerà naturalmente l'accusa di tradimento da parte degli ambienti ecclesiastici. Propone all'Assemblea la fine della attribuzione di “religione di Stato” al cattolicesimo e la estensione della cittadinanza francese agli ebrei portoghesi ed avignonesi. Lavora infine alla Costituzione civile del clero, che prevede fra le altre cose il giuramento di fedeltà allo stato da parte dei vescovi e dei sacerdoti. La Costituzione civile del clero viene approvata dall'Assemblea il 12 luglio 1790. Talleyrand presta il giuramento di fedeltà alla nuova Costituzione civile del clero. Il 13 gennaio 1791 rinuncia alla sua diocesi di Autun, ma il 24 febbraio consacra i primi due vescovi costituzionalisti, che saranno soprannominati «talleyrandistes». Sei mesi dopo la proclamazione la nuova Costituzione civile del clero viene condannata dal papa Pio VI che a metà dell'anno scomunicherà il vescovo ribelle.
Su suo suggerimento l'Assemblea dichiara il 14 luglio (data della presa della Bastiglia) festa nazionale ed al suo primo anniversario è proprio Talleyrand a celebrare la messa ai Champ de Mars. In quell'occasione, di fronte ai dignitari stupiti di tanta sfrontatezza, dirà «Vi prego, non fatemi ridere».
Talleyrand firma la Costituzione (quella dello Stato francese) che sarà presentata al re e da questi accettata il 14 settembre 1791: egli è in particolare autore dell'art. VI della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, norma relativa all'uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge ed al principio che la legge è espressione della volontà generale. Intanto la Francia si appresta alla guerra: i sostenitori di quest'ultima dicono che non v'è nulla di meglio per cementare il sentimento nazionale attorno alla Rivoluzione. Talleyrand non è d'accordo ma, essendosi sciolta l'Assemblea Costituente e non potendo alcuno dei suoi membri candidarsi a quella legislativa, accetta il ruolo di inviato in Inghilterra per mantenersi nel “giro”. Lo scopo è quello di tranquillizzare gli inglesi sulla politica francese e ottenerne la neutralità in caso di conflitto. Un primo viaggio fallisce lo scopo ma il secondo (1792), resosi indispensabile a causa della dichiarazione di guerra all'Austria (formalmente al re d'Ungheria e Boemia) da parte della Francia e condotto formalmente da François Bernard Chauvelin, ha successo e Talleyrand ottiene la neutralità inglese.
Dopo essere ritornato in Francia a luglio, presentendo l'avvicinarsi delle turbolenze del periodo, si schiera apertamente con gli estremisti che vogliono la testa del sovrano, sperando così di far dimenticare la sua origine aristocratica e la sua carriera ecclesiastica. Riesce tuttavia a ripartire dalla Francia per l'Inghilterra grazie ad un ordine di missione strappato a Danton. Tale circostanza permetterà a Talleyrand di sostenere di non essere uno degli émigré, ossia degli esponenti ostili alla Rivoluzione francese scappati dalla Francia. Vengono però per sua sfortuna trovate in un armadio due sue lettere indirizzate a Luigi XVI che attestano i rapporti segreti intercorsi tra l'ex vescovo e l'odiato sovrano: il governo rivoluzionario emette un ordine di cattura nei suoi confronti.
Nel 1794 Talleyrand è espulso dall'Inghilterra, auspice il nuovo capo di governo inglese William Pitt, (nel frattempo l'Inghilterra è entrata in guerra contro la Francia e la presenza in Inghilterra di Talleyrand, non è molto rassicurante, vista la sua nota abilità di tenere, come si suol dire, i piedi in tre scarpe). Va negli Stati Uniti e si stabilisce a Filadelfia, mal visto per la feroce propaganda contro di lui da parte dei giacobini che colà rappresentano la Francia, ma ben accolto dai nobili francesi in esilio. Stringe inoltre una profonda amicizia con Alexander Hamilton. Esercita la professione di agente immobiliare nelle foreste del Massachusetts, poi quella di mediatore in merci. Descriverà la sua esperienza americana nei suoi due saggi:
Essai sur les Avantages à retirer des colonies nouvelles ;
Mémoire sur les relations commerciales des États-Unis avec l'Angleterre.
Intanto a Parigi Madame de Staël ed altri amici perorano la sua causa, ed un oratore molto ascoltato, Marie Joseph Chénier, fratello del poeta Andrea, ghigliottinato durante il Terrore, riesce a strappare alla Convenzione l'annullamento del mandato di cattura e l'autorizzazione al ritorno in Francia come libero cittadino cosicché nell'estate 1796 rientra in Europa.
Il periodo del Direttorio [modifica]
Nel 1797, grazie all'intercessione di Madame de Staël presso Barras, Talleyrand ottiene il ministero degli esteri in sostituzione di Charles Delacroix, della cui moglie – si racconta – fosse amante. In effetti ci sono segnali piuttosto singolari in questo senso: figlio di madame Delacroix sarà il famoso pittore Eugène Delacroix, al quale Talleyrand fu affezionatissimo e che sarà da lui aiutato ad affermarsi come artista con un impegno tale da avallare la voce che l'artista ne fosse il figlio, voce vieppiù fondata se si considera che il volto del giovane Delacroix assomigliava molto a quello del politico francese.
Già nel 18 fruttidoro 1797 un suo piano ben orchestrato sventa un colpo di stato dei realisti guidato dal generale Jean-Charles Pichegru e sostenuto da due membri del direttorio, Carnot, suo acerrimo nemico, e Barthélemy: Carnot riesce a fuggire mentre Pichegru e Barthélemy catturati, finiranno alla Cayenna.
Inizia poi una proficua corrispondenza con un outsider nel gioco politico del tempo, un giovane generale di nome Bonaparte, che incontra personalmente all'inizio del 1797 allorché questi torna coperto di gloria dalla prima campagna d'Italia ed organizza una festa in suo onore presso l'Hotel Galiffet, con un fasto mai visto prima.
Dà il suo appoggio al progetto di conquista dell'Egitto, da affidarsi al giovane Bonaparte, ma alla disfatta navale del Nilo si trova al centro di pesanti critiche e sospetti di connivenza con l'odiata Inghilterra. Il 20 luglio 1799 lascia l'incarico ministeriale a seguito di uno scandalo montato ad arte dai suoi rivali (Barras in testa), dopo che era stato nel mirino di stampa ed avversari per i rapporti intrattenuti con una bellissima indiana (nata nelle Indie danesi ma d'origine bretone), Catherine Noël Worlée detta Madame Grand per aver sposato un francese con tale nome, che è stata arrestata per sospetto spionaggio a favore dell'Inghilterra e per la liberazione della quale Talleyrand s'è piuttosto sbilanciato. Pur fuori da cariche governative, riesce a far nominare ministro di polizia il sinistro Fouché, poi a far entrare nel direttorio l'abate Sieyès, al momento ambasciatore a Berlino, in previsione di un colpo di stato nel quale un posto predominante spetta proprio a Napoleone Bonaparte.
Il periodo napoleonico [modifica]
Sbarcato Bonaparte a Fréjus proveniente dall'Egitto dove ha lasciato l'armata al generale Jean-Baptiste Kléber e giunto a Parigi, l'ex vescovo lo incontra e mette a punto i particolari del piano.
Dopo il colpo di Stato del 18 brumaio e dopo avere recuperato – per inciso – tre milioni di franchi destinati a “facilitare” le dimissioni di Barras, Talleyrand ritrova il suo posto di ministro: Napoleone è affascinato dal nome del casato dei Talleyrand ed ha molta stima delle qualità diplomatiche del suo nuovo ministro, anche se ne detesta la licenziosità di costumi (Gli impone infatti di lasciare la bella indiana, madame Gand, o di sposarla: cosa che Talleyrand farà prontamente) (1801). Dalla Worlee Talleyrand ha già avuto nel 1799 una figlia, inizialmente dichiarata di padre ignoto e che Talleyrand adotterà nel 1803, sposandola poi, nel 1815, al barone Alexandre-Daniel de Talleyrand suo cugino. Il matrimonio viene celebrato solo con rito civile in quanto il papa Pio VII concede sì la riduzione dell'ex vescovo allo stato laicale, ma non il permesso di contrarre matrimonio. Napoleone accetta quindi di averlo non solo come ministro ma anche come consigliere.
Nella sua posizione di ministro degli affari esteri Talleyrand inizia a tessere una rete di relazioni che gli verranno molto utli in futuro. Partecipa attivamente alla formulazione dei trattati internazionali che seguono i numerosi conflitti scatenati dal Primo Console (poi Imperatore) ma non è un compito facile: Bonaparte non lascia infatti molto spazio ad altri nella gestione degli affari esteri. I trattati di Mortefontaine e di Lunéville sono conclusi praticamente senza l'intervento di Talleyrand, il quale però non si fa problemi: sa tenersi da parte quando e come ne è il caso. Non si tira indietro invece quando c'è da fare quattrini ed usa spregiudicatamente la sua posizione per spillare denaro a destra ed a manca. Napoleone lo intuisce, in molti casi sa, fa qualche sfuriata ma alla fine pensa di aver bisogno del principe di Perigord, soprattutto al momento in cui decide un riavvicinamento alla nobiltà francese in vista della sua nomina ad Imperatore. Anche il trattato di Amiens (25 marzo 1802) viene concluso con l'Inghilterra tagliando fuori il ministro degli esteri francese. E l'annessione del Piemonte alla Francia (11 settembre 1802) anche. Questo provvedimento contrasta con i suggerimenti di Talleyrand che propendeva per una restituzione dei territori conquistati nelle campagne di guerra in Europa, secondo un principio che ispirerà (promosso anche dallo stesso Talleyrand) il Congresso di Vienna del 1814.
Sempre su pressione del Bonaparte, ma pure con il suo aiuto finanziario, Talleyrand acquista nel 1801 il castello di Valençay: si tratta, con i suoi 120 km², di una delle più grandi dimore private dell'epoca. Talleyrand vi soggiorna regolarmente, in specie dopo i periodi di cure termali a Bourbon-l'Archambault. Nel castello saranno ospitati gli Infanti di Spagna, prigionieri di Napoleone.
Nel marzo 1804 avviene un fatto clamoroso la cui responsabilità viene attribuita da molti al Talleyrand, se non altro come colui che lo ideò e lo consigliò a Napoleone: il rapimento e l'esecuzione del duca d'Enghien (21 marzo 1804) [2] Pare che sia proprio dopo l'eco d'indignazione sollevata in Europa da questo evento (Il duca di Enghien fu prelevato per ordine di Napoleone da un reparto di cavalleggeri appartenenti alla Guardia imperiale comandati dal generale Ordener nel paese di Ettenheim, nel Baden, violando apertamente la sovranità di uno stato estero) che Talleyrand abbia pronunciato la famosa frase: «È stato peggio di un crimine, è stato un errore».[3] Nelle sue memorie Napoleone comunque attribuirà solo a sé stesso la responsabilità dell'«errore».
Ormai divenuto gran ciambellano Talleyrand riceve a Fontainebleau papa Pio VII, venuto a Parigi per incoronare Napoleone imperatore dei francesi ed assiste il 2 dicembre 1804 alla sua consacrazione. Assisterà poco dopo anche all'incoronazione del Bonaparte a re d'Italia in Milano (18 maggio 1805), pur essendovi contrario.
Nel 1805 è Talleyrand a firmare di controvoglia, dopo la brillante campagna d'Austria (e dopo la disfatta navale di Trafalgar), il trattato di Presburgo. Costretto a seguire l'Imperatore da una capitale all'altra durante le continue campagne militari, il principe di Perigord, che alla vita movimentata di questi viaggi preferisce di gran lunga i comodi conversari dei salotti parigini, si disamora sempre più del Bonaparte per il quale anni prima aveva avuto una quasi venerazione.
Nel 1806 Talleyrand è nominato principe regnante di Benevento, piccolo Stato fondato nella città sottratta allo Stato della Chiesa. Non si recherà mai in visita nel suo piccolo regno, delegando un ottimo governatore per il disbrigo delle incombenze di un capo di stato, ma ci si affeziona ugualmente, evita di approfittarne per arricchirsi ancor di più a spese anche dei beneventani e quello sarà per il piccolo regno un periodo di ottimo governo (durato però solo otto anni). Nell'estate del 1807 dopo avere firmato il trattato di Tilsit si dimette e lascia la carica di ministro per quella di vice grande elettore (il grande elettore è Giuseppe Bonaparte) ma riesce a piazzare Champagny, poi duca di Cadore, un suo fidato, al vertice del ministero fino a quel momento presieduto da lui.[4]
I rapporti con Napoleone si sono incrinati. Pare che Talleyrand, sempre più critico sulla politica aggressiva dell'Imperatore, inizi a trasmettere informazioni allo zar Alessandro I tramite il suo amico duca Dalberg. L'anno successivo Napoleone lo vuole con lui ad Erfurt per l'incontro con Alessandro I, le cui truppe sono state sconfitte da Napoleone ad Eylau l'anno precedente. Qui Talleyrand getta il seme della futura collaborazione con Alessandro I, che incontra da solo quasi tutti i giorni, complice l'ambasciatore francese a Mosca Caulaincourt. La permanenza dello zar ad Erfurt viene prolungata volutamente da Napoleone, il che favorisce le trame del principe di Benevento. Nelle corti europee incomincia a circolare la voce che Talleyrand è stufo del Bonaparte ed è disposto a collaborare. Gli incontri di Erfurt, alla loro conclusione avvenuta il 14 ottobre 1808, si rivelano per Napoleone una perdita di tempo, non essendo egli riuscito nell'intento, grazie anche al Talleyrand che «remava contro», di concludere con lo zar un'alleanza in funzione anti-inglese.
Napoleone intuisce il tradimento del Talleyrand e si arriva alla rottura definitiva nel 1809, quando l'imperatore lo accusa apertamente a seguito delle voci di un complotto che il suo ex ministro degli esteri avrebbe organizzato con Joseph Fouché. Evidentemente l'astuto vice grande elettore ha capito che in Europa il vento sta girando contro l'imperatore dei francesi, che le continue guerre che questo conduce conducono anche la Francia allo stremo (non si contano più le sommosse popolari contro il reclutamento obbligatorio reso necessario dai continui conflitti) e che prima o poi, probabilmente più prima che poi, Napoleone verrà sconfitto. Quest'ultimo d'altra parte pare costretto a continuare a combattere e vincere poiché questo è l'unico modo di contenere l'opposizione latente dei vecchi rivoluzionari, ancora molto forti, che non gli hanno mai perdonato l'abolizione del regime repubblicano.
La fine dell'Impero [modifica]
Da questo momento i rapporti fra l'imperatore ed il principe di Perigord diventano sempre più tesi e Napoleone non si lascia sfuggire occasione per rendere difficile la vita al suo ex ministro, come quando impone con la forza l'allontanamento da Parigi della moglie di Talleyrand, l'ex madame Gand, a causa della sua condotta licenziosa (è pubblicamente l'amante del duca di San Carlos). Nello stesso tempo però l'imperatore avverte la mancanza di un consigliere e ministro della capacità ed acume di un Talleyrand, soprattutto se paragonato alla mediocrità di coloro che al momento lo circondano, tanto da proporgli un paio di volte di riprendere il suo incarico ministeriale, ma l'ex vescovo si nega e prende sempre di più e pubblicamente, nel modo vellutato e salottiero che gli è tipico, le distanze da quell'uomo che, secondo lui ed a ragione, rovinerà molto presto. D'altra parte i salotti parigini, in quel tempo, sono tutti anti-napoleonici: le signore dell'aristocrazia e dell'alta borghesia fanno a gara a chi di loro critica di più l'Imperatore auspicandone la caduta (e dimenticando naturalmente che se loro stanno lì in lieti conversari vivendo nello sfarzo, lo devono in gran parte al tanto vituperato Napoleone). Talleyrand in quel mondo ci sguazza: conversatore affascinante, la battuta dissacrante ed il paradosso sono le sue armi dialettiche migliori e per questo la sua presenza era ed è ambita in tutti i salotti che nello stesso tempo fanno cassa di risonanza a quanto il principe di Périgord si lascia, volutamente, sfuggire dalle labbra. Nonostante questo Talleyrand, quando richiesto, non nega al Bonaparte i suoi consigli, che talvolta vengono adottati: sarà lui infatti a suggerirgli come moglie la granduchessa Maria Luisa d'Asburgo-Lorena anziché la granduchessa di Russia Anna Romanov, come in un primo tempo pensava Napoleone. Non ascolta invece il consiglio di trattare, che Talleyrand, richiestone, gli dà dopo la sconfitta della Beresina e si rivelerà un errore. Poi arriva la disfatta di Lipsia (16-18 ottobre 1813) ed il successivo breve e precario armistizio.
Nel novembre del medesimo anno Napoleone gli offre ancora un volta il ministero degli affari esteri, ma il lungimirante principe di Pèrigord declina ancora l'offerta. Non può rifiutarsi però di accettare di divenire membro del Consiglio di Reggenza, presieduto dal fratello dell'imperatore Giuseppe Bonaparte, che deve sostituire lo stesso Napoleone durante la sua assenza dovuta alla necessità di respingere l'invasione della Francia da parte delle truppe della sesta coalizione.
All'inizio del 1814 gli eventi precipitano: le truppe del maresciallo Blücher attraversano il Reno in tre punti, l'Olanda ed il Belgio si ribellano, appoggiate dalle truppe di von Bülow e dell'inglese Graham, il cognato Gioacchino Murat, auspice la moglie, e sorella dell'imperatore, Carolina, gli negano il contingente promesso, da sud, sotto i Pirenei, avanzano gli uomini di Wellington. Le truppe della sesta coalizione antinapoleonica sono ormai sul territorio francese, l'Imperatore lascia Parigi per combatterle affidando al fratello Giuseppe (cacciato l'anno prima dal trono di Spagna) la reggenza dell'Impero con delega piena a trattare. Talleyrand si adopra per informare lo zar Alessandro I ed il principe di Metternich (da lui conosciuto quando era ministro degli esteri e il cancelliere era appena stato nominato ambasciatore d'Austria a Parigi nell'agosto 1806) sul modo migliore di prendere Parigi senza eccessivo spargimento di sangue (e per preparare il ritorno dei Borbone nella persona del fratello del re ghigliottinato, Luigi, conte di Provenza, che regnerà con il nome di Luigi XVIII).
Per tutto febbraio e marzo Napoleone combatte come un leone contro il soverchiante nemico: il 10 febbraio sconfigge Blücher a Champaubert, l'11 Sacken a Montmirail ed a Vauchamps, il 17 mette in rotta, dopo un'aspra battaglia, il principe Eugenio di Württenberg a Montereau, il 7 marzo sconfigge di nuovo il Blücher a Craonne, il 14, cogliendo di sorpresa i russi di Le Priest e costringendoli alla fuga riconquista Reims. In questo frenetico tour de force emerge ancora, se mai fosse necessario, la differenza fra l'ordinaria abilità dei comandanti degli eserciti alleati ed il genio di Napoleone. Ma si tratta degli ultimi guizzi di fiamma di un falò destinato ormai a spegnersi. Il 31 marzo lo zar Alessandro I, primo degli alleati, entra alla testa delle sue truppe in Parigi ove alloggerà proprio nella casa di Talleyrand in Rue Saint-Florentin in qualità di ospite. L'indomani viene affisso sui muri di Parigi il famoso proclama di Parigi a firma dello zar. La farina però appartiene al sacco del principe di Périgord. Il 6 aprile 1814 Napoleone, sconvolto dal tradimento del suo generale Auguste Marmont, del quale ha appreso che si è arreso senza combattere alle porte di Parigi, firma a Fontainebleau l'atto d'incondizionata abdicazione. L'Impero è finito.
La Restaurazione monarchica ed il Congresso di Vienna [modifica]
All'indomani dell'ingresso in Parigi di Alessandro I Talleyrand è eletto dal senato presidente del Consiglio provvisorio, costituito da cinque membri. Nei giorni che seguono il Senato dichiara decaduto l'Imperatore. Il 5 di aprile Talleyrand presenta al Senato il progetto di Costituzione che viene approvato all'unanimità con qualche modesta variazione. Il giorno prima il generale Marmont s'era arreso con le sue truppe agli Alleati dichiarando di non esser più disposto a combattere per Napoleone. Questi firma il 12 l'accettazione delle condizioni per la sua capitolazione: è l'esilio all'isola d'Elba. Il capo del governo provvisorio riesce a convincere il Senato ad accettare Carlo di Borbone, conte d'Artois, fratello di Luigi XVIII (e futuro re, alla morte di questi, con il nome di Carlo X), quale luogotenente generale sovrano. In tale veste sostituisce il governo Talleyrand (grazie al quale il Senato ha conferito il potere a Carlo di Borbone di formare e presiedere un nuovo governo) e dà corso alle trattative di pace con gli alleati che iniziano già lo sgombero delle loro truppe dal territorio francese. A fine mese si installa sul trono Luigi XVIII, che nomina Talleyrand, ministro degli affari esteri (13 maggio 1814) non senza nascondere una certa diffidenza per l'ex vescovo, [5] del quale comunque ha un gran bisogno vista la assoluta mancanza di personaggi dotati di una discreta caratura fra i politici del momento, affidandogli l'incarico specifico di negoziare con le potenze vincitrici le condizioni per la pace. Alla fine del mese si giunge ad un primo trattato di pace, il trattato di Parigi che pone anche le premesse del Congresso di Vienna. Con questo trattato la Francia restituirà immediatamente i territori conquistati ed annessi senza un accordo, ancorché estorto, con i legittimi sovrani, dopo il 1792: un apposito Congresso stabilirà la parte residua. Tutto ciò è un grande successo della regìa di Talleyrand, che riesce ad ottenere il mantenimento del territorio francese intatto (30 maggio 1814). Senza la sua opera, la Francia avrebbe seriamente rischiato di finire come la Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale, smembrata in più pezzi.
Il 16 settembre 1814 prende avvio il congresso di Vienna e Luigi XVIII pone a capo della delegazione francese il principe di Périgord e sarà proprio lui a firmarne l'atto finale il 9 giugno 1815. Il principio che Talleyrand riesce a far accettare è quello della legittimità della sovranità: ogni nazione deve essere costituita in Stato, sia esso monarchico o repubblicano, legittimamente per naturale evoluzione, per tradizione storica e non per una imposizione di forza dall'esterno. Tutto ciò che è stato frutto di atti di forza, e cioè le conquiste e la costituzione artificiosa di Stati da parte di Napoleone a seguito delle sue campagne militari, deve ritornare come prima, con la sola eccezione dei casi in cui questo «ritorno» risultasse più dannoso per i popoli interessati di quanto lo sia la situazione attuale. Talleyrand riesce così, giocando anche sulle divisioni della altre grandi potenze europee, non soltanto a limitare le sanzioni a danno della Francia (che altrimenti sarebbero ampiamente giustificate dai pesanti danni subiti dalle potenze vincitrici a causa della arroganza e furia distruttiva del Bonaparte), ma ad influenzare pure le altre decisioni che riguardavano l'equilibrio dell'Europa in generale. Il ringraziamento per tutto ciò sarà l'obbligo delle dimissioni da primo ministro (che tale diventerà dopo il ritorno del re dalla poco dignitosa fuga al termine dei cento giorni di Napoleone) che Luigi XVIII, spinto da aristocratici ultraconservatori memori del suo passato di rivoluzionario, costringe Talleyrand a dare le dimissioni con il contentino della conferma nella carica di gran ciambellano di Francia il 24 settembre 1815.
Prima però c'è appunto l'ultimo colpo di coda del Bonaparte: la fuga dall'Isola d'Elba il 26 febbraio 1815 ed il suo reinsediamento a Parigi. Luigi XVIII, appena venuto a conoscenza dello sbarco di Napoleone in Provenza, se la batte. Napoleone, giunto a Parigi sugli scudi, confisca subito i beni del principe di Pèrigord e poi gli scrive a Vienna per offrirgli l'incarico di ministro degli esteri, incarico che Talleyrand non esita a rifiutare: egli sa benissimo che quello di Napoleone sarà un breve fuoco di paglia e quindi si dà un gran daffare presso le potenze del Congresso per dissociare in qualche modo le responsabilità della nazione che rappresenta dalle future imprese del redivivo Corso (senza gran fatica si direbbe, se, come pare, la fuga dall'Isola d'Elba è stata organizzata ad insaputa di Napoleone da Metternich, Castlereagh, il rappresentante inglese a Vienna, e Talleyrand, per mettere fine allo stallo delle trattative di Vienna , sotto l'incombenza del pericolo di un ritorno vittorioso del Bonaparte). Ironia della sorte: il suo successore è il duca di Richelieu (la stessa casata del ben più famoso cardinale di Richelieu). Inizia così nuovamente per il principe di Périgord un lungo periodo di riposo forzato. La carica di Gran Ciambellano gli consente di parlare alla Camera dei Pari ove non perde occasione di scagliare la sua oratoria sarcastica contro il nuovo governo. E proprio da quel pulpito si scagliò nel 1821 contro il tentativo del governo di limitare la libertà di stampa, un suo vecchio cavallo di battaglia.
La monarchia di Luglio [modifica]
Nel 1830 Luigi Filippo diviene re dopo la Rivoluzione di Luglio che caccia Carlo X. Il nuovo sovrano nomina Talleyrand ambasciatore a Londra con lo scopo di rassicurare gli altri Paesi europei, sotto la dipendenza nominale del ministro degli esteri Molé al quale naturalmente il principe di Benevento si guarda bene dall'obbedire. Come diplomatico contribuisce in modo determinante all'indipendenza del Belgio, che il Congresso di Vienna, contro il suo parere, aveva annesso all'Olanda: reagendo alla sollevazione in armi dei belgi, riesce a far indire una Conferenza a Londra fra le grandi potenze che sancisce l'indipendenza del Belgio. La riottosa Olanda tenta l'occupazione armata del nuovo stato ma Talleyrand riesce a far votare all'assemblea francese la decisione di intervenire militarmente e l'Olanda si ritira. Potrà così permettersi anche di far salire al trono belga il suo candidato, il principe Leopoldo di Sassonia-Coburgo. L'ultimo risultato prima del suo ritiro è la quadruplice alleanza fra Inghilterra, Francia, Spagna e Portogallo.
Nell'agosto 1834 Talleyrand lascia la vita pubblica e si ritira nel castello di Valençay, che abbandona soltanto nel 1837, quando si rende conto che i suoi giorni sono contati.
L'avvicinarsi della morte pone Talleyrand in un grande imbarazzo. Se rifiuta i sacramenti getta un'ombra sulle consacrazioni a vescovo costituzionale da lui fatte, dall'altro mal si vede a condurre una vita da penitente per gli ultimi giorni. Solamente quando sente che gli resta poco da vivere acconsente a ricevere il giovane abate Dupanloup ed a firmare la dichiarazione di ritrattazione che gli viene richiesta, della quale ha soppesato tutti i termini, ed a ricevere l'estrema unzione ed il viatico. Quando il sacerdote – conformemente al rito – deve ungergli le mani con il sacro crisma, gli dice «non dimentichi che sono un vescovo», riconoscendo così in extremis la sua qualità episcopale e quindi le consacrazioni da lui fatte. Poco prima di morire riceve l'omaggio di una gran parte del mondo parigino, incluso il re.[6]
Alla sua morte lo scrittore Renan disse che Talleyrand, uomo per tutte le stagioni, era riuscito a ingannare la terra e il cielo.
Le esequie ufficiali furono celebrate con rito religioso il 22 maggio. Pochi mesi dopo il suo corpo fu traslato in una cappella vicina al castello di Valençay.
Note [modifica]
^ Il poeta italiano Giuseppe Giusti gli dedicò, alla morte, una delle sue sarcastiche poesie dal titolo: Il brindisi di Girella (sottotitolo: "Dedicato al signor di Talleyrand, buon'anima sua") ove «mette alla berlina» (per usare una sua famosa espressione usata in Sant'Ambrogio) il camaleontismo del principe di Perigòrd
^ Louis Antoine Henry, duca d'Enghien, ultimo discendente dell'illustre casata dei principi di Borbone-Condé (risalenti a Carlo, duca di Vendôme e nonno di Enrico IV), era fuggito in Inghilterra per scampare alla Rivoluzione e successivamente si era stabilito ad Ettenheim, nel Baden, ove aveva segretamente sposato Charlotte de Rohan-Rochefort. Attivo antirivoluzionario, fu indicato, senza che poi il fatto fosse stato accertato, come ideatore ed organizzatore di un piano per rovesciare Napoleone Bonaparte e restaurare la monarchia borbonica, in combutta con un famoso chouan, come si definirono i capi delle rivolte vandeane, Georges Cadoudal. Quest'ultimo fu arrestato poco prima del blitz francese in Ettenheim, e giustiziato a giugno dello stesso anno.
^ Alcuni attribuiscono però la frase al capo della polizia Fouché.
^ Del Champagny Talleyrand ebbe a dire: « La sola differenza che c'è tra me e Champagny è che se l'imperatore gli ordina di tagliare la testa a qualcuno, lui lo fa entro un'ora mentre io, per eseguire l'ordine, ci metterei un mese. »
(Charles-Maurice, principe di Talleyrand-Périgord)
.
Lo Champagny verrà sostituito due anni dopo da Ugo Bernardo Maret.
^ Pare che Talleyrand abbia percepito chiaramente questa diffidenza ed abbia detto al re al momento di giurare: «Sire, è il tredicesimo giuramento che faccio: spero che sarà l'ultimo»
^ A proposito di questa visita del re all'ormai moribondo principe, circolò questa storiella. Talleyrand, che stava soffrendo molto, avrebbe detto al re: "Sire, soffro le pene dell'inferno" al che Luigi Filippo, distratto, avrebbe risposto: "Di già?". Inutile dire che non esistono prove storiche del fatto.
Bibliografia [modifica]
Pier Damiano Ori; Giovanni Perich. Talleyrand. Milano, Rusconi Editore, 1981 (seconda edizione).
J. Tulard; J.-F. Fayard; A. Fierro. Histoire et dictionnaire de la Révolution Française. Parigi, Edition Robert Laffont, 1998. ISBN 2-221-08850-6.
Max Gallo. Napoléon. Parigi, Edition Robert Laffont, 2002. ISBN 2-221-09796-3.
David G. Chandler. Le campagne di Napoleone. Milano, RCS Libri, 1998. ISBN 88-17-11577-0
Guglielmo Ferrero. Ricostruzione-Talleyrand a Vienna (1814–1815). Milano, Corbaccio Editore, 1999.
Voci correlate [modifica]
Cronologia dell'Epopea napoleonica
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Collegamenti esterni [modifica]
(EN) Talleyrand, The Prince of Diplomats
(FR) Charles Maurice de Talleyrand Perigord 1754-1838
(FR) L'association des amis de Talleyrand
(FR) Talleyrand, le prince immobile una trasmissione di Canal Académie
Predecessore: Primo Ministro del Regno di Francia Successore:
9 luglio 1815 - 26 settembre 1815 duca di Richelieu I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
con
con
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